Qualche anno fa un tale mi disse: “Se vuoi fare una maratona, fanne una bella, di quelle che ti ricordi”.
Pur correndo sempre, facendo gare su strada, trail, alla fine la maratona era rimasta un sogno nel cassetto.
A fine marzo, per il mio compleanno, sono a cena con Rosy, la mia compagna e insieme al dolce arriva il regalo: c’è un foglio con una lista di maratone organizzate da un’agenzia specializzata.
Vedo Lisbona e già sono contento, ma poi capisco qual è realmente il regalo: l’iscrizione alla quarantesima Bank of America Chicago Marathon che si terrà l’8 ottobre. L’emozione è forte. E’ il sogno e per lo piu’ a Chicago, una città fantastica nella quale ero stato piu’ volte e che mi piace moltissimo. Grattacieli, parchi immensi, il Loop. I Cubs, i Bull e i Bears. E’ un museo di arte moderna a cielo aperto.
E’ una maratona delle Majors e nella città dei sogni. Si andra’ tutti assieme, io, Rosy e pure Tommy, mio figlio. Salterà qualche giorno di scuola, ma vivrà un bella esperienza.
Adesso però c’è da prepararsi seriamente. Da subito. La maratona va rispettata, bisogna arrivare preparati.
E allora si inizia, si aumentano le distanze. Cinque uscite a settimana, piu’ la cyclette nei due giorni rimanenti.
Sveglie all’alba per conciliare famiglia, lavoro e corsa. Bisogna ricavarsi del tempo che non si ha.
Qualche trail, qualche gara veloce, i lunghi, i lunghissimi. Poi, dopo quello che doveva essere il penultimo lunghissimo di 30 Km a settembre, arriva la tendinite al ginocchio. Provo a correre lo stesso, ma il male aumenta. Devo stare fermo. E’ il weekend dell’ultimo lunghissimo, ma non posso correre. I dubbi, l’ansia di non farcela. Riprendo a correre un pò sull’erba ma il ginocchio fa male. Per fortuna mio cognato mi fa dei massaggi e mi carica psicologicamente. Grande, coach. Il male diminuisce ma non scompare e mi vengono fuori altri acciacchi. Riesco a correre al massimo 16 e 17 Km nelle ultime 3 settimane, ma con fatica.
Andare fino a Chicago e non farcela sarebbe una grande delusione.
Mercoledì sera prima di partire ultimo massaggio. Bah, speriamo in bene.
Giovedì 5 ottobre si parte. Londra e poi Chicago. La mattina del venerdì corsetta con alcuni compatrioti esperti di maratona conosciuti sul posto. Uno di Romagnano e l’altro di Cuneo, persone che hanno corso la maratona abbondantemente sotto le 3 ore. Il secondo addirittura in due ore e 20 minuti e rotti. Mi danno consigli: “Parti piano, corri piano, è la prima”.
Il clima è fantastico. Ci sono fiumi di persone che corrono in attesa della gara.
Iscritti piu’ di 40.000.
Venerdì ritiro pettorale e pacco gara al padiglione del McCormick Place. Spettacolare. Stand di tutti i maggiori brand di scarpe e attrezzature sportive. Alla Nike le persone fanno 50 minuti di coda per pagare 30 dollari la maglietta commemorativa. Quelli sono matti.
Sabato corsetta di quaranta minuti. Gli amici di corsa trovati a Chicago dicono: “Bisogna arrivare freschi”. Mi fido.
Poi in giro per la città, ma il pomeriggio mi accorgo di essere stanco e torno in albergo con Tommy. Un pò di piscina, un pò di relax. Bisogna arrivare freschi. La sera poi bisogna mangiare giusto. Il problema è che mangiare bene negli Stati Uniti è un impresa. Possiamo farci una pizza. Ma le pizzerie vicino all’hotel sono strapiene. Ripieghiamo sul messicano. Bah, riso, fagioli e fajitas al pollo. Speriamo in bene.
Si va a dormire dopo aver preparato tutto. L’unico dubbio è come vestirmi per la gara. I gate aprono alle 5:30 e si parte alle 7.30. Potrebbe fare fresco anche se poi è previsto un bel sole. A Chicago c’è sempre vento. Si chiama Windy City non per niente. Opto per la termica sotto la maglietta con la scritta Italia. Sono un tipo freddoloso. La scelta si rivela però azzeccata.
Si parte e arriva da Grant Park, un parco immenso pieno di scoiattoli che separa il Lago Michigan dai grattacieli della Michigan Avenue, la via principale di Chicago. Il percorso prevede prima un pò di zig zag in piena downtown. Poi si va verso nord per dieci kilometri fino a Lincoln Park. Di lì si ritorna verso downtown su una via parallela a due isolati di distanza da quella percorsa verso nord. Ad un certo punto poi si vira verso ovest fino ad arrivare circa allo United Center dove c’è la statua di Michael Jordan, per intenderci, e dove giocano i Chicago Bulls che avevamo visto il venerdì sera. Poi si torna verso downtown e si va verso sud, per poi finire rientrando in downtown e Grant Park.
E’ praticamente tutta piatta.
Arrivo ai gate insieme agli amici e a migliaia di altre persone. Parto nel Corral D del Wave One. Le partenze sono infatti distribuite in tre Waive, ciascuno diviso per Corral. Il tutto in base ai tempi ottenuti o sulla maratona o su mezze certificate. Gli amici partono piu’ avanti, nel Corral B, visti i tempi ottenuti in passato. Deposito la sacca e faccio sosta tecnica ai WC. C’è la coda di 20 persone e soffia un vento molto freddo. Cavolo, che freddo. Ma lì, se la fai nel parco, ti arrestano.
Nell’andare verso la partenza incontro per caso un podista di Torino con cui mi metto a chiacchierare. Parte nel mio gruppo. Mi chiede se vogliamo correre assieme. Va bene, mi sembra una buona idea.
Alla partenza il sole è già abbastanza alto. Prima del via c’è l’inno americano cantato da una donna di cui non ho sentito il nome. L’avevo sempre e solo visto in tv questo . Mi viene la pelle d’oca.
Ora, ci siamo, però: si parte. Alle 7:40 passo sotto la partenza e il cronometro scatta.
Parto piano, molto piano, a fianco del compatriota torinese. Lungo le strade c’è una marea di gente. Stimati un milione e settecento mila spettatori. C’erano tutti, ne sono sicuro. E’ una festa incredibile. Ad ogni metro ci sono centinaia di persone che incitano, che suonano i campanacci, che applaudono e urlano. Ci sono le bande che suonano. Ci sono i DJ con la musica a tutto volume. Si attraversano 29 quartieri.
La gente vedendo la mia maglietta con la scritta Italia continua ad incitarmi con “Vai Italia!”, “Go Italia!”. High Five ai passanti. Poi le scritte, i cartelli. “Pain is temporary, Internet results are forever” dice uno. Me la rido. In queste cose gli americani sono imbattibili, penso.
I primi dodici kilometri li corro chicchierando con l’amico torinese. Si parla della Juve e delle corse. Si arriva a Lincoln Park che non avevo mai visto. Stupendo.
Vedo il mio compagno un pò in difficolta a starmi dietro. Ad un certo punto mi dice “vai, vai…vedo che hai la gamba”. Lo saluto e vado.
A questo punto si corre “da soli”. Aumento il ritmo, ma di poco. E’ ancora lungaaaaaaa. Bevo ad ogni ristoro sia il gatorade che l’acqua, come mi aveva consigliato Roberto. Al quindicesimo inizio a mangiare anche dei mirtili rossi secchi. “Stay strong, stay strong” urla la folla a noi corridori. Si arriva ai 20 kilometri: una marea di spettatori sulla curva vicino al Board of Trade che indirizza verso ovest. Sembra di essere in curva allo stadio.
Un filo di male al ginocchio, ma corro bene. Poi il fastidio scompare. Manca una mezza, dai. Decido di concentrami sul pubblico, senza pensare.
Mando giu’ un gel. Si arriva ai 30 Km. “Speriamo non mi faccia male nulla”. Le gambe sembrano intorpidite. Allora faccio un pò di skip alti mentre corro. Iniziano a vedersi i primi che mollano, che camminano e si trascinano. Vedo persone devastate dalla fatica. Io però mi sento bene. Devo solo fare andare le gambe, mi dico. Senza pensare. 32, 35. Adesso ho voglia di arrivare. Prendo qualche banana dall’organizzazione e ad ogni ristoro bevo. Rimango lucido. 24 miglia. Ormai è tutta dritta, manca poco. ‘You are almost there!’, ‘You got it!’ urla il pubblico. 40 Km. E’ fatta, tieni duro e sei arrivato. Ecco il cartello degli 800m all’arrivo. Poi quello dei 300m. C’e la salita del cavalcavia prima di entrare a Grant Park che avevo letto sarebbe sembrata durissima. Per chi è abituato all’ultima salita della Gamba d’Oro prima del traguardo, però, non è poi così dura. Mi vengono i crampi alle cosce, un pò di skip ed ecco il traguardo. Finish Line.
La gioia e la soddisfazione sono immense. Ce l’ho fatta. Chiudo con un discreto 3:44. Si può fare meglio, ma volevo arrivare e finire la mia prima maratona. Mi piazzo 6875 su piu’ di 40.000. Sono contento per la prima maratona. Dagli intermedi vedo che ho corso piu’ forte gli ultimi dodici kilometri. In particolare, l’andatura migliore è stata dal 35 al 40. E’ un buon punto di partenza per le prossime.
Ritiro la medaglia e me la metto al collo. Mi cambio veloce e vado verso l’albergo, che dista altri 2 lunghi kilometri. La gente guarda la medaglia e dice ‘Congrats’, ‘Congratulations’!
Abbraccio forte Tommy e Rosy ancora tutto sudato. Le gambe fanno male, ma meno di quanto pensassi.
Il pomeriggio tutti i corridori sono in giro per Chicago con la maglietta blu e la medaglia al collo.
I Chicagoan ti fermano per farti i complimenti, le foto. Per loro è un impresa, sei un eroe. E’ una festa, per loro, questa. E anche per me.
E’ stata un esperienza fantastica. Ringrazio Rosy per avermela regalata. E ringrazio sia lei che Tommy per aver vissuto con me questa avventura.
Albero Melini